RECENSIONE FILM: QUELLO CHE TU NON VEDI

Adam (interpretato da Charlie Plummer) è un adolescente brillante ma introverso, con il sogno nel cassetto di diventare chef. Soffre di allucinazioni visive e vive circondato da amici immaginari che si presentano nei momenti meno opportuni. Espulso a metà del suo ultimo anno di liceo a causa di un incidente durante la lezione di chimica, si trasferisce in una scuola privata per finire l’anno. Adam ha poche speranze di riuscire ad adattarsi e vorrebbe solo mantenere il segreto sulle sue continue visioni fino a quando non prenderà il diploma e potrà iscriversi all’università di cucina. Ma quando incontra Maya (interpretata da Taylor Russell), schietta e tremendamente intelligente, scatta un’intesa istantanea alla quale non potrà resistere. Man mano che la loro storia d’amore diventa più importante, lei lo spinge ad aprire il suo cuore e a non chiudersi nella sua condizione. Grazie all’amore e al sostegno sia della sua ragazza che della famiglia, Adam lotta per la prima volta per uscire dal tunnel e per fronteggiare le sfide che lo attendono.

Sarò sincera, mi aspettavo di vedere un film più simile a Noi siamo tutto oppure Colpa delle stelle ma mi è bastato guardare i primi minuti di Quello che tu non vedi per capire che non sarebbe stato il solito classico film adolescenziale emozionante ma che non ti lascia niente dentro, o quasi niente. Mi piace la cruda realtà, mi piace immedesimarmi in una storia e trarne un insegnamento, qualunque esso sia; non mi piace, soprattutto, quando una tematica così importante come la schizofrenia oppure borderline, disturbo ossessivo compulsivo, anoressia, bulimia, per fare alcuni esempi, viene trattata con leggerezza o viene messa in secondo piano per dare più spazio alla storia d’amore. Ovviamente in Quello che non vedi la storia d’amore c’è ma, a differenza da ciò che sembra nel trailer, non è questa componente a catturare di più lo spettatore; l’amore è una sfumatura, la più bella. L’amore è la guarigione, o come piace definirlo a me, l’attimo in cui tutto ciò che ci affligge scompare per lasciare il posto alla felicità; durerà un secondo? Un’ora? Qualche mese? Non importa, si tratta pur sempre di felicità. Maya è il posto felice di Adam. Ecco, la loro storia, seppur messa in secondo piano, lancia uno dei messaggi più belli e importanti che una persona sofferente possa cogliere e far suo: qualcuno lì fuori è pronto ad amarti e a sostenerti, non ti giudica e non chiedere mai la ragione della tue scelte ma, semplicemente, vive con te ogni istante di vita aiutandoti a dimenticare un passato doloroso, una malattia spesso troppo ingombrante. Diventa, appunto, il tuo posto felice.

Ma torniamo ad Adam e al suo disturbo. Cosa ho maggiormente apprezzato? Le tre figure presenti nella sua quotidianità, ovviamente! Rappresentano la personificazione delle identità di Adam: l’Aggressività incarnata da bodyguard, le Pulsioni sessuali da Joaquim, la Riflessività da Rebecca; tre personaggi che mi hanno ricordato il film Collateral Beauty, in cui vengono personificate tre entità astratte, le stesse alle quali il protagonista invia delle lettere: Tempo, Amore e Morte. Le personificazioni delle identità di Adam sono il chiaro esempio di come la schizofrenia possa buttarti in un abisso sempre più profondo da un momento all’altro; sono un esempio di come un disturbo del genere non ti dà alcun tipo di tregua e, credetemi, pur conoscendo soltanto una minima parte di questa malattia cronica e invalidante, vedere Quello che tu non vedi mi ha lasciato un vuoto nello stomaco e una voglia d’informarmi, di conoscere e soprattutto di approfondire questo tipo di tematiche. D’altronde è questa la parte più bella di un film, giusto? A dare un ulteriore spessore all’intero film c’è l’oscurità e ci sono le inquietanti voci esterne provenienti da una porta socchiusa tipiche dei film horror (che adoro 😍 ) ma c’è anche l’eccezionale presenza scenica e interpretativa di Charlie Plummer, che ho già avuto modo di apprezzare nella miniserie televisiva Cercando Alaska e in Spontaneous. Charlie è stato un Adam profondo e ha reso lo spettatore emotivamente partecipe del suo disturbo; è riuscito a trasmettere tutta la paura, l’angoscia e la sua voglia di normalità in quasi 2 ore di film; un susseguirsi di emozioni contrastanti, dopo le quali ti domandi più e più volte “ma che cos’è davvero la normalità?” E’ normale colui che non soffre di alcun disturbo psichico o mentale o è normale colui che ne soffre ma non ha paura di esternarlo? E’ normale colui che riesce a fare del proprio disturbo una sottile e tagliente ironia o colui che ne piange nel silenzio e nell’oscurità della sua camera? Sapete, non credo ci sia una concezione più appropriata di normalità; nessuno di noi può definirsi all’altezza di poter definire qualcuno o qualcosa NORMALE o ANORMALE, e questo è un altro aspetto ben visibile grazie all’abissale differenza fra la reazione e l’amore di Maya verso Adam e quello che provano per lui suoi vecchi compagni di classe. Ho assolutamente approvato anche la nota “ironica” con la quale viene affrontato questo impegnativo e serio argomento, un modo per coinvolgere maggiormente lo spettatore ma anche per non opprimerlo e non rischiare di rendere cupo e drammatico un film che lo è già di per sé ma che viene trasformato da un mix di romanticismo e di commedia.

L’ultima volta che mi sono emozionata e appassionata ad un film di questo spessore è stato grazie alla straordinaria e impareggiabile interpretazione di Timothée Chalamet in Beautiful Boy. Sapete già quanto io ami e ammiri Timothée e tutto il suo splendido lavoro e vi assicuro che, per averlo citato in questo breve frammento di recensione, significa tanto. Significa che Charlie Plummer è sulla buona strada per guadagnarsi un posticino nella mia lunga ( 🤭 ) lista di attori preferiti degli ultimi tempi. Per il momento, Timothée resta imbattibile! 🤭😜🙈

VOTO: ⭐⭐⭐⭐

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