RECENSIONE LIBRO: GIOCARSI TUTTO di MARINA LORA RONCO

Scrivere la recensione di Giocarsi tutto non è per niente facile, ve lo assicuro e non perché non mi sia piaciuto; tutto il contrario. Il romanzo di Marina Lora Ronco, che ringrazio per aver scelto di collaborare con me, è un pugno nello stomaco continuo. Sapete bene che sono abituata a leggere romanzi con delle storie d’amore spesso adolescenziali ma anche fantasy, come sapete anche che mi piace scoprire sempre mondi nuovi. Quello di Marina, però, non è solo un “mondo nuovo da esplorare” per me; il suo romanzo ha il sapore della realtà, della dura e cruda realtà. Non stiamo parlando di due adolescenti che s’innamorano e, credetemi, per quanto l’amore sia presente in Giocarsi tutto, non stiamo parlando neanche di quello. Stiamo parlando di sofferenza, rabbia repressa, animo ferito nel profondo, arresa…e vincita. E forse i protagonisti di questo romanzo hanno vinto la cosa più bella: una nuova vita. Ma, prima di procedere con la recensione, leggiamo insieme la trama.

“Ti dice che andrà tutto per il meglio e che ne uscirete ancora più forti di prima. Il vostro è un grande amore e questa è un’opportunità. Un nuovo inizio, senza spettri e fantasmi. Senza inganni o sensi di colpa divoranti. Senza casse da morto nello stomaco. “Come si può arrivare a tanto? Si chiede Margherita. Fingere di non vedere. Accettare l’inaccettabile. E raccontarsi un mucchio di bugie. Per esempio che si trattasse solo di un piccolo vizio, cinque minuti di svago di un marito mentre sua moglie beve il caffè al bar. Una donna e un uomo, e il loro amore, profondo e straordinario, alle prese con il Gap: il gioco d’azzardo patologico. Un mostro spietato, capace di fagocitare affetti, certezze. Vita. Un tornado che annienta risorse e genera debiti e ansie, demolendo la sola idea di un futuro possibile. La soluzione? Una terapia d’urto, quaranta giorni di reclusione, un viaggio per tentare di venire a capo di una patologia insidiosa, per di più infamante e socialmente inaccettabile. Questa è la storia di Margherita, della sua lotta per tenere in piedi un progetto di vita. È il dramma di Riccardo alle prese con il baratro, un pozzo di cui fatica a vedere il fondo.

Sofferenza. Una parola molto diffusa e forse qualche volta anche abusata, mi permetto di dirlo. Ma non è questo il caso; Margherita e Riccardo soffrono davvero e non so dirvi chi dei due lo fa di più perché non c’è una scala di sofferenza, non in questa circostanza; è una consapevolezza che ho acquisito pagina dopo pagina perché inizialmente mi sentivo più protettiva nei confronti di Riccardo, soprattutto dopo aver letto i suoi pensieri man mano che scorrevo le pagine del romanzo; percepivo la sofferenza di un uomo che non ha vissuto l’amore familiare come avrebbe voluto e che, di conseguenza, si ritrova ad “assecondare” più volte sua moglie e non è una cosa negativa, per come l’ho percepita io; Riccardo stava cercando di dare alla donna della sua vita quel tipo di amore e calore familiare che lui non ha mai ricevuto. Riccardo c’ha provato in tutti i modi e poi è crollato, si è estraniato da sempre stesso e ha commesso degli errori. È da condannare? No. Mai. È da condannare Margherita per non essersene accorta, troppo presa dalla sua carriera e dalla vita da mamma? No. Mai. È la vita; è così che doveva andare. Cos’è cambiato poi, nei confronti di Margherita rispetto ai capitoli iniziali del romanzo? Mi sono posta delle domande, anche se è stato difficile rispondere perché non ho la stessa età di Margherita, non sono una mamma e non sono neanche sposata: cosa avrei fatto io? Come avrei reagito e come avrei affrontato la vita dopo aver toccato con mano la sofferenza di mio marito? Ecco, a questo punto del romanzo mi sono avvicinata di più a Margherita e la narrazione in seconda persona adottata da Marina mi ha aiutata a farlo. Ho toccato Margherita con le mie mani, ho sentito i suoi pensieri e le ho dato forza quando lei non riusciva a darla a se stessa. Non vi nascondo che ci sono stati momenti in cui ho dovuto fermare la lettura per metabolizzare il tutto e questo succede quando entri in sintonia con la storia che stai leggendo. Non è la prima volta che mi capita ma è la prima volta che mi ritrovo a leggere la storia di una famiglia comune e a mettermi nei panni di una donna adulta.

Amore e rinascita sono gli altri due sentimenti che dominano nel romanzo Giocarsi tutto. Amore per la famiglia, amore per la persona che ti sta accanto ma soprattutto amore per la vita. Ecco, è proprio su quest’ultimo tipo di amore che mi voglio soffermare con voi partendo da un estratto del romanzo che ho amato e che credo si possa definire un po’ la colonna portante di tutta la storia:

“Ciò che diventiamo da adulti credo dipenda molto da quanto ci sentiamo amati ed accolti, sin da piccoli. Io penso che ognuno ognuno di noi sia il risultato dell’amore che ha ricevuto o che gli è mancato. Per me Tutto parte dall’Amore.”

Già, tutto parte dall’amore…anche quel bisogno di rinascita che si è innescata in Riccardo è partito dall’amore, come del resto la mancanza d’amore l’ha portato ad affrontare un problema del quale si parla poco nei romanzi ma esiste, è reale e si può toccare con mano. Riccardo ha voglia di rinascere per l’amore che prova per sua moglie e le sue figlie; ha voglia di rinascere anche e soprattutto per se stesso e lo fa a piccoli passi e partendo dal tassello più importante: l’accettazione. Accettazione della sua patologia, accettazione della brutta piega che aveva preso la sua vita e soprattutto (e non è affatto scontato, credetemi) accettazione verso se stessi.

Giocarsi tutto è un romanzo scorrevole, che fa riflettere; ti coinvolge dalla prima all’ultima pagina, ti arricchisce dentro e soprattutto ti apre gli occhi verso una realtà molto vicina a noi ma che non riusciamo quasi mai a cogliere, forse perché troppo legati alle “prime impressioni” e “apparenze”.

Ovviamente, consigliato!! 🖤

VOTO: ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐

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