Recensione romanzo: Come cicatrici su una tela di Laura Caroniti

Trama:

Guatemala, anni Cinquanta. Nella Casa de la Abeja, dove il tempo sembra sospeso tra le ombre del passato e le incertezze del futuro, Vitalba Suárez cresce circondata dai fantasmi di un amore mai sbocciato: quello tra sua madre Miranda, ex étoile internazionale, in fuga dopo il crollo della sua carriera, e suo padre Santiago, un sindacalista che lotta per i diritti dei lavoratori sotto un regime spietato. Bellissima e disincantata, Vitalba trova rifugio nei suoi disegni e nell’affetto di Mita, la donna indigena che l’ha cresciuta. Tutto cambia quando Fernando Scania, l’uomo che ha spezzato il cuore della madre, irrompe nella sua vita con una promessa di libertà. Tra i due nasce un’attrazione pericolosa e un amore proibito che si lega agli orrori della guerra e della morte. Quando la situazione precipita, Fernando è costretto a fuggire, lasciando Vitalba con un dolore troppo grande per essere dimenticato e più di un segreto da custodire. Di nuovo sola, Vitalba cerca di ricostruirsi una vita in quel Guatemala che non vuole abbandonare, finché, anni più tardi, una rivelazione non la costringe a fare i conti con tutto ciò che credeva vero e che aveva imparato ad amare. Decisa a sopravvivere a ogni costo, e a ritrovare se stessa, Vitalba sceglie di sfidare il proprio destino, ma il cammino verso la libertà si rivelerà più incerto e pericoloso del previsto.

Come cicatrici su una tela è il romanzo d’esordio di Laura Caroniti, un’opera che mi ha positivamente sorpresa per la sua profondità e onestà narrativa. Ambientato nel Guatemala degli anni Cinquanta, un’epoca segnata da tensioni sociali, conflitti armati e un clima di paura che permeava ogni aspetto della vita quotidiana, il romanzo ci immerge in un mondo lontano ma straordinariamente vivo, raccontato attraverso gli occhi di Vitalba Suárez. La narrazione assume la forma di un romanzo corale: le storie dei personaggi si intrecciano e si sovrappongono, restituendo la complessità di un Paese segnato da ferite profonde e da un passato difficile da superare. Quello che mi ha colpita sin dalle prime pagine è la crudezza con cui Laura racconta non solo le cicatrici visibili di un Guatemala attraversato dalla guerra civile, ma anche quelle invisibili, personali, che segnano la protagonista e chi le sta accanto. Non è una lettura facile, né leggera: la storia si fa carico della durezza della realtà e mette nero su bianco le ingiustizie e i drammi che hanno caratterizzato quegli anni. Eppure, proprio in questa durezza si trova la forza del racconto, che non si limita a narrare un contesto storico ma ci costringe a guardare dentro la fragilità e la determinazione di chi lotta per ritrovare la propria identità. Seguire Vitalba significa entrare in un mondo di silenzi pesanti, paure nascoste, rabbia trattenuta ma anche di una forza sorprendente, quella che nasce dalla necessità di sopravvivere e di resistere. La scrittura di Laura Caroniti è matura e capace di arrivare dritta al cuore senza mai perdere di intensità. In questo romanzo l’amore proibito si intreccia con la brutalità del potere, la storia personale si fonde con quella collettiva, e le cicatrici diventano non solo segni di dolore ma anche testimonianze di resistenza, memoria e identità. Tra le tematiche, spicca in modo potente anche quella dell’arte come terapia e come atto creativo. Per Vitalba dipingere non è soltanto un gesto estetico: è un rifugio, un modo per dare forma al dolore e trasformarlo, per rendere visibili ferite che le parole non riescono a raccontare. Ogni tela diventa spazio di libertà, un luogo dove la sofferenza si fa segno e colore, diventando testimonianza di resistenza e di rinascita.

Andando più nel dettaglio…

La scrittura di Laura Caroniti è diretta, pulita e fluida; ha una grande forza emotiva che personalmente ho apprezzato molto. La sua è una scrittura che scava, che ti entra dentro, senza mai diventare pesante o lenta. Al contrario, mantiene un ritmo coinvolgente, grazie anche a dialoghi molto naturali e a descrizioni dosate, che ti permettono di immergerti senza mai perdere il filo.

Per quanto riguarda i personaggi, mi permetto di farvene una breve descrizione generale perché essendo nuovo, non vorrei fare spoiler. I personaggi, trattandosi di un corale, sono tanti ma legati tra loro in maniera impeccabile dall’autrice. Vitalba Suárez, protagonista del romanzo, è una donna segnata da un passato doloroso e da cicatrici profonde, non solo sulla pelle ma soprattutto nell’anima. Cresciuta nella “Casa de la Abeja”, Vitalba lotta ogni giorno per ritrovare se stessa, attraversando paure e difficoltà. La sua lotta per ritrovare se stessa è resa ancora più potente dal rapporto difficile con una madre incapace di darle l’amore materno che ogni figlia vorrebbe, e dall’affetto protettivo di Mita, che per Vitalba è quasi una seconda madre. Tre, poi, saranno le figure maschili centrali nella vita di Vitalba e in tre fasi diverse della sua vita e devo dire che Laura ha fatto un lavoro eccezionale nel delinearli. Tra un padre, ahimè, che ha perso troppo presto, un marito simbolo della violenza istituzionalizzata che grava sulle vite di tutti, e un amico speciale pronto a proteggerla ad ogni costo, si fa strada un personaggio che ho apprezzato fin da subito e ne ho percepito la diversità rispetto ad altre persone che Vitalba ha incontrato lungo la sua vita. Sti parlando di Fernando, l’amore proibito di Vitalba. Questo personaggio rappresenta sia speranza che conflitto, un desiderio che sfida le barriere di un tempo e di un luogo segnati dalla paura. La sua presenza nel romanzo aiuta a esplorare non solo l’amore, ma anche il coraggio e il sacrificio, temi centrali nella crescita di Vitalba.

Nel suo romanzo, Laura non si limita a raccontare la vita di Vitalba, ma esplora temi universali che toccano il cuore di ogni lettore, soprattutto in un mondo che spesso tende a nascondere le verità scomode dietro facciate di apparente normalità. La violenza, sia quella del singolo individuo sia quella istituzionalizzata, è il fulcro del romanzo. Ma ciò che ho trovato potente è il suo il messaggio nascosto: proprio da quelle ferite può nascere la voglia di resistere, di non piegarsi, di cercare la propria voce e diventare davvero se stessi. Accanto a questo si intreccia il tema della memoria, intesa come atto necessario: ricordare, affrontare il passato e guardarlo in faccia per comprenderlo e, solo così, superarlo. C’è poi la lotta di Vitalba con la propria identità e con la libertà di scegliere chi essere, una battaglia quotidiana contro aspettative sociali e familiari. È una lotta che diventa un gesto d’amore verso sé stessa, il coraggio di dire: mi accetto anche con le mie ferite, perché è da lì che nasce la mia forza. E naturalmente c’è l’amore, in tutte le sue sfumature. Non un amore facile o perfetto, ma reale, a volte proibito, spesso tormentato. È quella forza silenziosa che spinge Vitalba a cercare una via d’uscita dalla prigionia del dolore e dei silenzi. E, dopo aver parlato di amore, è impossibile non citare il primo vero amore di Vitalba: l’arte. La pittura diventa per lei un rifugio, un linguaggio nuovo, un modo per trasformare il dolore in qualcosa che non distrugge ma crea. Ogni tela è uno spazio di libertà, un luogo dove la sofferenza si fa bellezza, dove la cicatrice diventa traccia di identità. Non è un processo immediato né indolore, ma è attraverso l’arte che Vitalba riesce a dire quello che le parole non potrebbero mai esprimere, guardando le proprie ferite senza paura e restituendole al mondo in una forma nuova.

In conclusione, Come cicatrici su una tela è un romanzo che ti resta addosso, come un colore che non sbiadisce, come un segno inciso nella memoria. Chiudi l’ultima pagina e ti accorgi che quelle cicatrici, così vive e dolorose, non sono soltanto sue: sono un po’ di tutti noi. Perché ognuno, in un modo o nell’altro, porta con sé ferite che cerca di nascondere o di trasformare. Vitalba non ci regala risposte facili, ma ci regala una verità potente: non siamo definiti dalle nostre ferite, ma da ciò che scegliamo di farne. Ed è in questo che il romanzo diventa un atto di cura, un invito silenzioso ma tenace a guardarci dentro e a continuare, nonostante tutto, a dipingere la nostra tela.

VOTO: ⭐ ⭐ ⭐ ⭐ ⭐

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