
Trama:
Nel 1928, quattro donne molto diverse tra loro, Lidia, Ángeles, Carlota e Marga, iniziano a lavorare come telefoniste presso la Compagnia dei Telefoni, la prima grande azienda nazionale di telecomunicazioni in Spagna. In un’epoca in cui le donne cominciavano timidamente a reclamare autonomia e diritti, il centralino diventa il simbolo di libertà economica, amicizia e lotta per l’emancipazione.
Tra amori complicati, misteri, vendette e grandi scelte morali, la serie segue la loro evoluzione personale e collettiva sullo sfondo di un periodo storico turbolento, che va dalla monarchia alla dittatura franchista.
Non sapevo cosa aspettarmi da Le ragazze del centralino. L’avevo aggiunta alla lista da tempo, ma solo di recente ho deciso di iniziarla. E mi è bastato poco per capire che stavo entrando in una storia capace di andare oltre le aspettative. Episodio dopo episodio, stagione dopo stagione, ho scoperto un racconto profondo, intenso, più attuale di quanto sembri. Una serie che parla di donne, ma anche di libertà, di paura, di lotta. Che usa il melodramma non per spettacolarizzare, ma per scavare. Che non ha paura di mostrare la violenza, l’abuso, il silenzio, ma nemmeno la forza, l’amicizia, la tenerezza. Uno dei suoi punti più riusciti è proprio la costruzione dei personaggi femminili: Lidia è una donna complessa, determinata, ma ferita; calcolatrice, ma profondamente fragile. Ángeles affronta una delle storyline più dolorose, quella della violenza domestica, con una delicatezza che lascia il segno. Carlota è la voce della ribellione, del desiderio di rompere le regole, mentre Marga rappresenta la crescita lenta e luminosa di chi parte dal silenzio e impara a farsi sentire. Ho apprezzato anche il ruolo di Donna Carmen, personaggio che è più di un’antagonista: è un intero sistema sociale fatto di apparenze, gerarchie, e fragilità mascherata da forza.
Mi è piaciuto tutto: la scrittura, le interpretazioni, le relazioni tra i personaggi, il modo in cui temi ancora attuali vengono inseriti con naturalezza. È una serie che forse non ha avuto il riconoscimento che merita, ma che lascia il segno. E lo fa senza urlare.
Le ragazze del centralino è ambientata nella Madrid degli anni Venti e Trenta, in un periodo di fermento e cambiamento. Il punto di partenza è l’assunzione di quattro donne come centraliniste nella compagnia telefonica nazionale. Ma da lì in poi, tutto si intreccia: amori, segreti, inganni, desideri, ribellioni. La struttura della serie è ben costruita: alterna piani temporali, usa flashback e voice-over in maniera impeccabile, e riesce a tenere sempre alta la tensione. C’è un equilibrio ben riuscito tra narrazione generale e approfondimento dei singoli personaggi. Mi è piaciuta anche dal punto di vista dei costumi, degli ambienti realistici, dell’atmosfera sospesa tra passato e presente. Il centralino, con i suoi fili intrecciati, diventa metafora perfetta per i legami e i conflitti che attraversano l’intera serie.
Il punto di forza della serie, però, restano loro: le protagoniste. Blanca Suárez, Maggie Civantos, Ana Fernández e Nadia de Santiago danno vita a quattro personaggi femminili sfaccettati, credibili, profondamente umani. Nessuna è perfetta, tutte sono in continuo movimento, sospese tra ciò che vogliono essere e ciò che il mondo impone loro. Le loro interpretazioni sono sincere, intense, e restituiscono con autenticità le mille facce dell’essere donna in un mondo che non le vuole libere. Lidia, centrale nella narrazione, è una donna determinata, ma ferita; calcolatrice, ma profondamente fragile. Ángeles affronta una delle storyline più dolorose, quella della violenza domestica, con una delicatezza che lascia il segno. Carlota è la voce della ribellione, del desiderio di rompere le regole, mentre Marga rappresenta la crescita lenta e luminosa di chi parte dal silenzio e impara a farsi sentire. Anche i personaggi secondari meritano attenzione: Francisco, Carlos, Pablo, Sofia… ognuno con la sua funzione narrativa, ognuno con un punto di vista diverso. Ma mai caricaturale. Anche quando sbagliano, restano umani. E spesso sono proprio le loro reazioni a farci capire quanto la libertà femminile spaventi, confonda, destabilizzi. Tra tutti, Donna Carmen è sicuramente uno dei personaggi più forti. È una donna abituata ad avere potere, a ottenere ciò che vuole. Non mostra quasi mai emozioni, e quando lo fa, è per ottenere qualcosa. Il suo modo di proteggere la famiglia è fatto più di imposizioni che di affetto, e questo la rende una presenza ingombrante. Il suo personaggio rappresenta bene quel mondo chiuso e rigido contro cui le protagoniste lottano ogni giorno e l’attrice, Concha Velasco, è stata impeccabile nel ruolo.
Le ragazze del centralino parla soprattutto di donne che cercano di diventare libere. Di amare chi vogliono, di scegliere se essere madri, di lavorare, di non avere paura. Lo fa raccontando la violenza di genere, la sorveglianza sociale, la censura, ma anche la forza dei legami affettivi, la solidarietà tra donne, il potere della parola. Si parla anche di guerra, perdita, resistenza. E soprattutto si parla di come il sistema cerchi di spezzare ciò che non può controllare. Ogni personaggio porta con sé una ferita. C’è chi scappa, chi finge, chi lotta, chi crolla. Ma tutte trovano una forma di riscatto. Messaggio fondamentale è: la libertà si conquista, anche se costa tutto.
Le ragazze del centralino è una serie che lascia il segno. È una storia che ti fa venire voglia di ascoltare, di ricordare, di capire. Ti fa riflettere su quanto sia stato difficile, e lo sia ancora, essere se stesse in un mondo che cerca sempre di incasellarti. E riesce a farlo senza retorica, senza forzature, solo attraverso la verità e le parole delle protagoniste. Alla fine, cos’è che resta? Forse proprio quelle parole che si intrecciano come fili, come voci in un centralino. E che continuano a risuonare, anche dopo l’ultima puntata.
VOTO: ⭐️⭐️⭐️⭐️ ⭐️

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